Ristrutturazione, delocalizzazione
e ri-domiciliazione di società e gruppi di imprese

Ristrutturazione, delocalizzazione e ri-domiciliazione di società o gruppi di imprese

Il nostro studio legale ha vasta esperienza nel settore della ristrutturazione, delocalizzazione e ri-domiciliazione di società e gruppi di imprese. Sia la Confederazione Elvetica che Malta offrono interessanti opportunità sotto il profilo fiscale anche per quanto riguarda possibilità di ottenere contributi in conto capitale, da esaminare ovviamente caso per caso. L’uso di holding maltesi, così come le S.A. di diritto svizzero, insieme a società operative può fare la differenza per ottenere legittimi risparmi d’imposta da usare per futuri investimenti.


Aprire un ufficio di rappresentanza all’estero
Quali sono i primi passi da fare non appena si decide di esplorare nuovi mercati oltre confine?
Per l’imprenditore interessato ad ampliare all’estero le proprie attività d’impresa è molto importante scegliere la forma giuridica e tributaria più idonea.

3 sono le ipotesi operative che possono essere usate:
L’apertura di un “bureau de liaison”, anche definito “ufficio di rappresentanza”.
La costituzione di una branch o stabile organizzazione della casa madre.
La costituzione di una filiale autonoma, sotto forma di società, di persone o di capitali, nel rispetto della legislazione vigente del paese ospite.
La soluzione più semplice è sicuramente l’apertura di un ufficio di rappresentanza, normalmente usata quando l’imprenditore desidera iniziare l’esplorazione di un nuovo mercato estero senza avere obblighi di adempimenti di carattere civilistico o tributario nel paese ospite. Per contro, dato che l’ufficio di rappresentanza svolge solo “una funzione ausiliaria e preparatoria alla attività della casa madre”, non potrà svolgere attività commerciale e fatturare: in buona sostanza, non potrà produrre reddito.


I costi che l’ufficio di rappresentanza sopporterà per la locazione di un ufficio, un locale o un magazzino destinato ad esempio a show-room per la promozione di prodotti, così come il personale assunto in loco, saranno costi interamente deducibili dal reddito della casa madre e dallo stipendio del rappresentante del bureau de liaison che opera sul territorio estero scelto.

L’ufficio di rappresentanza non ha, inoltre, personalità giuridica e autonomia gestionale e finanziaria, perché rappresenta un semplice “centro di costo” che non produce ricavi. Il discorso ovviamente cambia nell’ipotesi in cui si apra una stabile organizzazione o una società autonoma controllata sotto il profilo societario dalla casa madre. In questo caso, l’imprenditore ha fatto una scelta diversa e più impegnativa, sia sotto il profilo civilistico che tributario. Infatti, sia la branch che la filiale verranno tassati nel paese ospite per i redditi prodotti sul posto.
Dato che la branch però non ha autonoma personalità giuridica, questa sarà tassata sul reddito prodotto all’estero e il fatturato prodotto confluirà nel bilancio della casa madre: rappresenterà quindi una sorta di “longa manus” operativa della casa madre all’estero, in quando potrà avvalersi di un credito d’imposta in Italia per le imposte assolte all’estero in via definitiva.
La definizione di stabile organizzazione si rinviene nel Commentario al Modello Ocse, all’art.5, in cui viene definito esattamente in quali ipotesi si configura. La filiale, dotata di autonoma personalità giuridica sotto il profilo civilistico, sarà anch’essa tassata ovviamente nel paese ospitante sul reddito prodotto. La casa madre, potrà poi deliberare il trasferimento dei dividendi in Italia, e si potrà avvalere dei trattati internazionali per evitare le doppie imposizioni; ovvero potrà usare la Direttiva Madre Figlia (Direttiva n.434/1990), con innegabili vantaggi di carattere fiscale in termini d’imposizione (nessuna ritenuta alla fonte sui dividendi e tassazione dei dividendi pari al 5% degli utili).

Tutto chiaro e semplice potrebbe sembrare. Ma non è cosi, purtroppo, perché molto spesso l’imprenditore ritiene inconsapevolmente di avere costituito un semplice ufficio di rappresentanza. Nella realtà, però, l’operatività è quella di una stabile organizzazione perché ad esempio vengono stipulati contratti di vendita di prodotti o di fornitura. Ciò porterà inevitabilmente alla tassazione di quel reddito prodotto in loco, con le conseguenti sanzioni per la mancata dichiarazione dello stesso.

Bisogna perciò prestare grande attenzione all’effettiva attività posta in essere dall’ufficio di rappresentanza e dal personale che vi opera, al fine di evitare qualsiasi attività che possa essere qualificata come commerciale, ove poi la stessa abbia effettivamente luogo.

La variabile fiscale nell’internazionalizzazione delle imprese
Con sempre maggiore frequenza si assiste all’intensificazione di attività imprenditoriali poste in essere da piccole o medie imprese in ambito comunitario o internazionale. Infatti, l’espansione all’estero diventa sempre più necessaria per restare al passo con la concorrenza, sempre più forte, posta in essere dagli operatori economici esteri nell’ambito della filiera produttiva.

Mentre, peraltro, il mercato estero era fino a pochi anni fa predominio dei grandi gruppi internazionali, oggi anche il piccolo o medio imprenditore opera sempre più spesso in contesti non domestici. La conseguenza di quanto sopra è una necessaria e preventiva analisi del “rischio fiscale” che può comportare, se non sapientemente gestito, l’aprirsi oltre confine.

Infatti, sia che si decida di entrare in compartecipazione in una società che già opera all’estero, sia che si ritenga di dar vita a una new-co direttamente partecipata o controllata dall’impresa residente in Italia, si deve fare attenzione alle conseguenze di carattere tributario che derivano dalla presenza di redditi societari prodotti all’estero: questo al fine di evitare problematiche o rischi di configurazione di tali redditi come posti in essere con finalità elusive o addirittura evasive.
Negli ultimi anni il legislatore tributario è intervenuto più volte in tale delicata materia, al fine di chiarire quale debba essere il comportamento virtuoso sotto il profilo tributario nei casi di attività posta in essere all’estero. In particolare, è importante ricordare che non tutti i territori esteri nei quali si decide di operare con attività produttive, commerciali o di servizi possono rappresentare un campanello di allarme per il fisco, ma solo nei casi di paesi considerati paradisi fiscali o che comunque assoggettano il reddito prodotto in misura inferiore alla metà della percentuale di tassazione prevista nel nostro paese, con riferimento alla aliquota ordinaria di IRES ( imposta riguardante le persone giuridiche ) e IRAP ( imposta sulle attività produttive ).
Un decisivo chiarimento in merito alla tassazione delle attività che derivano da redditi prodotti in stati considerati privilegiati dal punto di vista fiscale si è avuto con l’emanazione del decreto legislativo n.147/2015 sull’internazionalizzazione delle imprese e le successive circolari dell’Agenzia delle Entrate n.35 del 4/8/2016 e n. 143239 del 16/9/2016, in materia di CFC (Controlled Foreign Companies).

Queste circolari chiariscono le situazioni in cui la presenza della società estera partecipata o controllata dal soggetto che risiede fiscalmente in Italia può comportare la tassazione per trasparenza in capo al percettore, a prescindere dal fatto che si percepiscano o meno degli utili in Italia: questo nei casi in cui la società si trovi in uno dei paesi fiscalmente privilegiati, fino a poco tempo fa inseriti anche in una black list ministeriale proprio in considerazione della non tassazione dei redditi lì prodotti o della tassazione inferiore al 50% di quella applicata nel nostro paese.
L’emanazione del suddetto decreto in materia di internazionalizzazione e delle successive circolari da parte dell’Amministrazione Finanziaria rendono così più facile individuare i comportamenti pericolosi e sconsigliabili sotto il profilo fiscale. Ciò a vantaggio della tranquillità e certezza di poter invece ampliare la propria capacità operativa d’impresa varcando i confini nazionali, senza il rischio di ricevere accertamenti da parte del fisco per irregolarità di carattere fiscale o comportamenti elusivi, che siano cioè finalizzati a ottenere vantaggi fiscali indebiti abusando o interpretando a proprio vantaggio le norme di legge in materia tributaria.
La regola principe da seguire quando si effettua un’operazione con l’estero, utile a evitare l’insorgere di problemi con il fisco, è questa: domandarsi se l’operazione viene posta in essere solo per ragioni di convenienza fiscale. Se così fosse, saremmo in presenza di una operazione potenzialmente attaccabile dall’Amministrazione Finanziaria perché qualificabile come posta in essere in “abuso del diritto” e perciò elusiva o addirittura evasiva.
Se invece la variabile fiscale è solo uno degli elementi che hanno determinato la convinzione dell’imprenditore di effettuare quella determinata operazione o attività negoziale, ma ciò che viene fatto è sorretto da valide ragioni economiche, allora difficilmente potranno sorgere problemi con il fisco perché il vantaggio fiscale non sarà stato il motivo determinante della scelta effettuata e, perciò, non saremo in presenza di una operazione a rischio fiscale.

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