Gli elementi probatori della residenza fiscale all’estero

Un rinnovato equilibrio tra presunzione e prova

Un rinnovato equilibrio tra presunzione e prova

La sentenza
Sul tema della residenza fiscale all’estero si deve registrare una recentissima ed innovativa presa di posizione della Corte di Cassazione che, con l’Ordinanza n. 19410 del 20 luglio 2018, stabilisce, peraltro in costanza di residenza in un Paese a fiscalità privilegiata come Montecarlo, come le Commissioni Tributarie debbano valutare con attenzione ogni elemento probatorio fornito dal contribuente a prova contraria dell’eventuale accertamento e motivare compiutamente la relativa decisione, pena la cassazione della sentenza ed il rinvio alla Commissione Tributaria Regionale (C.T.R.) per il riesame della fattispecie.
La Suprema Corte, infatti, ha ritenuto che la C.T.R., nella sua decisione, non avesse, da un lato, indicato nessun elemento ritenuto dirimente nella direzione del mancato superamento della presunzione legale di residenza in Italia, a sostegno della tesi dell’Ufficio e dall’altro, avesse omesso di valutare le prove a confutazione prodotte dal contribuente, con il risultato di una motivazione insufficiente o carente sui punti decisivi della controversia.

La fattispecie in esame
Il caso in esame riguardava un tennista professionista che, a partire dal 1998, aveva trasferito la propria residenza nel Principato di Monaco.
L’Agenzia delle Entrate aveva sottoposto il contribuente ad accertamento fiscale dell’Imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) per l’anno 2000 per compensi della Federazione Italiana tennis non dichiarati, in virtù del comma 2-bis dell’art. 2 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR).
I giudici di merito avevano confermato la tesi dell’Amministrazione finanziaria in merito alla sussistenza, nel caso di specie, della effettiva soggettività fiscale in Italia nell’anno di riferimento, considerando, altresì, legittimo il disconoscimento degli effetti di una scrittura privata con la quale il tennista aveva ceduto i diritti e proventi rinvenienti dalla sua attività in favore di una società sammarinese facente capo al padre del contribuente medesimo.
Il contribuente, nel suo ricorso in Cassazione, aveva lamentato l’omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo del giudizio, costituito proprio dall’effettività della sua residenza nel Principato, fin dal 1998 e sugli elementi e fatti a riprova di ciò.
In particolare, il ricorrente aveva fornito quale prova della sua residenza e del suo legame con il Principato di Monaco, il contratto di affitto relativo ad un appartamento sottoscritto a nome del medesimo, la regolare corresponsione degli affitti e delle spese accessorie, la congruità delle spese relative alle varie utenze in uso in detto appartamento, l’utilizzo delle strutture di allenamento sportive ubicate nel Principato, nonché l’evidenza che il Principato fosse la base abituale dei trasferimenti del contribuente, essendo lo stesso punto di partenza ed arrivo delle sue trasferte internazionali legate all’attività agonistica.
La Corte di Cassazione n. 19410/2018 afferma che le Commissioni Tributarie devono tenere in debita considerazione tutti gli elementi probatori a supporto della prova della residenza fiscale che il contribuente fornisce, valutandoli insieme agli elementi considerati nell’avviso di accertamento ed indicare, dunque, in maniera chiara ed esplicita il procedimento logico-giuridico posto alla base della loro decisione.

La Suprema Corte ha ritenuto che la C.T.R. abbia erroneamente omesso di prendere posizione su tale documentazione, potenzialmente decisiva della controversia ed atta a comprovare la residenza effettiva del contribuente all’estero.

La normativa di riferimento
Il tema della residenza estera è stato a lungo discusso e trattato dal legislatore, dalla dottrina e dalla giurisprudenza, tuttavia, nonostante alcuni punti fermi, ancora oggi restano delle sfumature che fanno discutere, non tanto sotto il profilo civilistico, ma con riguardo all’imposizione fiscale. Innanzitutto sui requisiti essenziali che devono sussistere affinché una persona fisica possa essere considerata residente all’estero. Si parte dall’art. 2 TUIR che stabilisce come una persona sia considerata residente se per la maggior parte del periodo di imposta, ossia almeno 183 giorni nell’arco dell’anno solare, sia iscritta all’Anagrafe della popolazione residente ed abbia in Italia il suo domicilio e la sua residenza ai sensi del codice civile (c.c.).

È bene da subito chiarire che detti tre requisiti sono tra loro alternativi, nel senso che è sufficiente la sussistenza di uno solo dei tre, perché la persona sia considerata fiscalmente residente in Italia. Di converso, ove un cittadino italiano sia iscritto all’Anagrafe italiani residenti all'estero (AIRE) ed abbia il suo domicilio e la sua residenza in un Paese estero, si considererà ivi residente sotto un profilo civilistico e, soprattutto, fiscale. È bene precisare come l’iscrizione all’AIRE rappresenti, in ogni caso, un presupposto necessario, ma non sufficiente per la qualificazione di residente all’estero, dovendo sussistere anche gli elementi sopra citati, così come confermato anche dalla Corte di Cassazione con l’Ordinanza n. 16634/2018, nella quale ha statuito che per la residenza fiscale è obbligatoria l’iscrizione all’AIRE. Infatti, partendo dall’assunto che la residenza anagrafica costituisce presunzione assoluta di residenza fiscale, il trasferimento all’estero non rileva fino a quando non risulti la cancellazione dalla Anagrafe di un Comune italiano. L’art. 2, comma 2-bis TUIR, introdotto nel 2008, prevede, inoltre, un’inversione dell’onere della prova in materia di prova della residenza estera, incombendo al contribuente l’onere di provare la sua residenza all’estero, nelle ipotesi di trasferimento della residenza in un Paese considerato fiscalmente privilegiato.

Invece, nei casi di trasferimento della residenza in Paesi a fiscalità non privilegiata, l’onere della prova ricade sulla Amministrazione finanziaria, che dovrà perciò trovare elementi gravi, precisi e concordanti in grado di dimostrare il trasferimento fittizio di residenza del contribuente. Al riguardo, nel caso in esame, avendo il contribuente trasferito la residenza in un Paese a fiscalità privilegiata, come Montecarlo, era onere dello stesso superare la presunzione di residenza in Italia, ai sensi del già citato comma 2-bis dell’art. 2 TUIR, fornendo la prova che, per l’annualità contestata, in ossequio al disposto di cui all’art. 43 c.c., il centro principale dei suoi affari ed interessi si collocasse effettivamente nel Paese black-list (Montecarlo) e che, in tale Paese, aveva il più stretto collegamento nella abituale e preminente gestione dei propri interessi di vita ed economico patrimoniali. Nel merito della individuazione della sfera di affari ed interessi del contribuente, ricordiamo una recente decisione della C.T.R., n. 1685/2017, nella quale è stato stabilito, con riferimento ad una fattispecie riguardante due soggetti trasferiti in un territorio fiscalmente privilegiato, che l’individuazione del domicilio fiscale deve basarsi sull’effettivo centro degli affari e degli interessi, non solo economici, ma anche morali e familiari, desumibili dal fattore dirimente della reale permanenza o meno del soggetto nel territorio italiano e, in particolare, sulla residenza intesa come dimora abituale ai sensi dell’art. 43, secondo comma, c.c.

Ciò che assume perciò rilevanza, ai fini del concetto di residenza fiscale all’estero, sono soprattutto i dati fattuali. Nel 2017 sono state create delle liste selettive di soggetti iscritti all’AIRE, così come previsto dal Decreto Legge (D.L.) n. 193/2016 e dal successivo provvedimento del 3 marzo 2017 dell’Agenzia delle Entrate.

Trattasi di posizioni “sensibili”, criteri filtro, attraverso i quali individuare quei soggetti che potrebbero aver simulato un trasferimento di residenza in Paesi esteri.


Tra questi, si segnalano:

◆ la residenza in un Paese a fiscalità privilegiata, di cui al Decreto Ministeriale (D.M.) del 4 maggio 1999;

◆ movimenti di capitale da e verso l’estero, trasmessi da operatori finanziari nell’ambito del monitoraggio fiscale di cui al D.L. n. 167/1990;

◆ informazioni relative a patrimoni immobiliari e finanziari detenuti all’estero, nell’ambito delle direttive europee in materia di scambio automatico di informazioni (Common Reporting Standard [CRS]);

◆ residenza in Italia del nucleo familiare del contribuente;

◆ atti del Registro segnaletici della effettiva presenza in Italia;

◆ utenze elettriche, idriche, del gas e telefoniche attive;

◆ disponibilità di autoveicoli, motoveicoli e unità da diporto;

◆ titolarità della partita iva italiana;

◆ rilevanti partecipazioni in società residenti di persone ovvero a ristretta base azionaria;

◆ titolarità di cariche sociali;

◆ versamento di contributi per collaboratori domestici;

◆ informazioni trasmesse dai sostituti di imposta con il modello 770;

◆ informazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto (IVA).


Le circostanze e i dati di fatto sopra evidenziati saranno, pertanto, base fondamentale nel contraddittorio tra Amministrazione finanziaria e contribuente per l’accertamento della residenza fiscale in Italia o all’estero. Del resto, non sono secondari gli effetti fiscali della residenza in Italia ovvero all’estero. Il TUIR prevede, infatti, una tassazione su tutti i redditi percepiti, ovunque prodotti, sulla base del cd. “worldwide taxation”, per i soggetti residenti nel territorio dello Stato. Di converso, i residenti all’estero sono sottoposti ad imposta in Italia solo per i redditi ivi prodotti. IV. Ulteriore caso di presunzione di residenza della Suprema Corte

Ma non è solo il requisito del domicilio a creare controversie. Una recente sentenza della Cassazione ha fatto chiarezza sull’utilizzo di una presunzione assunta dalla Agenzia delle Entrate per determinare la residenza italiana e relativa alla avvenuta presentazione dello scudo fiscale da parte di un cittadino italiano, estero residente. Parliamo di un noto campione di motociclismo che nel 2003 aveva deciso di avvalersi dello scudo fiscale; l’Agenzia delle Entrate aveva ritenuto che l’utilizzo di tale procedura equivalesse ad un’autodichiarazione e pertanto, lo aveva considerato residente in Italia.
Nonostante, però, i giudici di primo e secondo grado avessero dato ragione all’Agenzia delle Entrate, la Suprema Corte ha ribaltato la decisione, stabilendo che l’adesione allo scudo fiscale non prova la residenza fittizia all’estero, poiché il contribuente può comunque produrre prova contraria per superare la presunzione prevista dalla legge. La Cassazione, infatti, attenendosi al dettato dell’art. 2 TUIR ha stabilito che senza un’esplicita previsione normativa in tal senso, la dichiarazione per lo scudo fiscale presentata non può avere l’effetto di implicita rinuncia al diritto di prova contraria, ovvero, in altri termini il requisito dev’essere espressamente previsto dalla legge affinché la presunzione si possa trasformare in certezza, senza possibilità di fornire prova contraria.

Anche in questo caso, dunque, viene affermata dalla Suprema Corte l’importanza del diritto del contribuente di fornire prove a sostegno della sua residenza estera ed il dovere dell’Agenzia delle Entrate di tenerle in debita considerazione prima di emettere l’atto di accertamento.

Osservazioni sulla rilevanza del tema della residenza all’estero
Nel 2017, il numero degli italiani iscritti all’AIRE è arrivato quasi a 5 milioni. Il forte aumento di tale numero registrato negli ultimi anni è un dato di fatto di cui occorre prendere atto e che mostra il conseguente cresciuto interesse verso la possibilità di effettuare una scelta lavorativa e familiare fuori dall’Italia.
Tale elevato e crescente numero conferisce importanza alle decisioni sull’argomento che le Commissioni Tributarie e la Corte di Cassazione prendono sul tema. La sentenza in esame sottolinea la dirimente rilevanza dell’impianto probatorio del contribuente, ritenendolo potenzialmente sufficiente per la dimostrazione della effettiva residenza estera dello stesso.
L’Agenzia delle Entrate e le Commissioni Tributarie sono, di converso, richiamate ad una doverosa ed analitica valutazione delle prove dedotte, ristabilendosi un certo equilibrio, perso in altre decisioni passate, tra prova e presunzione. La Suprema Corte ha, infatti, statuito con chiarezza che tutti gli elementi di fatto rilevanti ed attinenti ai legami personali e professionali del contribuente, devono essere presi in debita considerazione e la relativa valutazione dev’essere espressa nelle motivazioni di merito, per far sì che il ragionamento logico-giuridico posto alla base della decisione risulti inequivocabilmente identificato.
Sul tema della residenza fiscale e degli elementi e presupposti tali da determinare, per il contribuente, la sussistenza della stessa nel territorio italiano o meno, la decisione della Suprema Corte in esame rappresenta sicuramente un passaggio importante per l’identificazione dei criteri da considerare, al fine di evitare il rischio di contenziosi o, comunque, di soccombenza in un giudizio di accertamento fiscale relativo a tale delicata tematica.

Articolo a cura di
Elio Blasio, Avvocato.
Blasio Legal Advisors, Roma - Ginevra - Malta